Diego Galdino, il Nicholas Sparks italiano, dopo “Il primo caffè del mattino” torna nelle librerie con “L’ultimo caffè della sera” dove il protagonista, Massimo, dovrà confrontarsi con l’amore del passato e un nuovo amore, solo che lui ha un cuore solo e dovrà scegliere a chi donarlo.
Da barista a scrittore. Chi è Diego Galdino?
Diego Galdino è uno scrittore che malgrado il successo letterario, continua a stare dietro il bancone del suo Bar, perché gli piace troppo l’idea di poter dare un posto dove tutti i suoi lettori sparsi per il mondo possano sempre trovarlo, per una dedica, una foto e per scambiare due chiacchiere davanti ad un caffè preparato da lui.
Come nasce la tua passione per la scrittura?
Ho iniziato a scrivere romanzi molto tardi, anche se da bambino scrivevo delle storie di fantascienza. Affascinato da cartoni animati come Goldrake o Mazinga Z, ricordo che la signora Maria, uno dei personaggi de “Il primo caffè del mattino”, mi cuciva insieme i fogli per farli diventare dei piccoli libri. Mi dispiace tantissimo che siano andati persi. Si può dire che sono diventato lo scrittore di oggi per merito – o colpa – di una ragazza adorabile che a sua volta adorava Rosamunde Pilcher. Una scrittrice inglese che di storie d’amore se ne intendeva parecchio. Un giorno lei mi mise in mano un libro e mi disse: “Tieni, questo è il mio romanzo preferito. Lo so, forse è un genere che piace più alle donne, ma sono certa che lo apprezzerai, conoscendo il tuo animo sensibile”. Il titolo del romanzo era “Ritorno a casa” e la ragazza aveva pienamente ragione. Quel libro mi conquistò a tal punto che nelle settimane a seguire lessi l’opera omnia dell’autrice. Il mio preferito era “I cercatori di conchiglie”. Scoprii che il sogno più grande di questa ragazza di cui ero perdutamente innamorato era vedere di persona i posti meravigliosi in cui la Pilcher ambientava le sue storie. Ma questo non era possibile perché un grave problema fisico le impediva gli spostamenti lunghi. Così, senza pensarci due volte, le proposi: “Andrò io per te, e i miei occhi saranno i tuoi. Farò un sacco di foto e poi te le farò vedere”.
Qualche giorno più tardi partii alla volta di Londra. Con la benedizione della famiglia e la promessa di una camicia di forza al mio ritorno. Fu il viaggio più folle della mia vita e ancora oggi, quando ci ripenso, stento a credere di averlo fatto davvero. Due ore di aereo, sei ore di treno attraverso la Cornovaglia; un’ora di corriera per raggiungere Penzance, una delle ultime cittadine d’Inghilterra, e le mitiche scogliere di Land’s End. Decine di foto al mare, al cielo, alle verdi scogliere, al muschio sulle rocce; al vento, al tramonto, per poi all’alba del giorno dopo riprendere il treno; fare il viaggio a ritroso insieme ai pendolari di tutti i santi d’Inghilterra che andavano a lavorare a Londra. Un giorno soltanto, ma uno di quei giorni che ti cambiano la vita. Tornato a Roma, lasciai come promesso i miei occhi, i miei ricordi, le mie emozioni a quella ragazza. Forse le avrei lasciato anche il mio cuore, se lei non si fosse trasferita con la famiglia in un’altra città a causa dei suoi problemi di salute. Non c’incontrammo mai più, ma era lei che mi aveva ispirato quel viaggio. In fin dei conti tutto ciò che letterariamente mi è successo in seguito si può ricondurre alla scintilla che lei aveva acceso in me. La voglia di scrivere una storia d’amore che a differenza della nostra finisse bene.
Dopo “Il Primo caffè del mattino” è uscito il tuo ultimo libro “L’ultimo caffè della sera”. Cosa ti ha spinto a continuare il romanzo? Cosa cambia nella vita del protagonista Massimo?
In realtà non era previsto che io scrivessi il seguito de “Il primo caffè del mattino”, non sono un amante dei seguiti, preferisco da sempre cimentarmi in storie autoconclusive. Ma negli ultimi anni mi sono capitate un sacco di cose brutte, o almeno non belle, che hanno stravolto la mia vita e il bar di famiglia che poi è la stessa cosa. Così ho deciso di scrivere “L’ultimo caffè della sera”, come dico sempre: “per rendere leggendario l’ordinario, perché di bar dove bere il caffè ce ne sono tantissimi e in tutto il mondo, ma come quello dove sono nato e ancora oggi continuo a fare i caffè credo ce ne siano pochissimi.
Anch’io come Massimo il protagonista de “Il primo caffè del mattino“ ho perso un grande amico, un secondo padre. È stata una perdita, come accade nel mio nuovo romanzo, improvvisa, destabilizzante, per me e per il bar. Qualche mese dopo anche mio padre, quello vero, si è ammalato gravemente. Così sono rimasto da solo, sia fuori, che dietro il bancone del bar. A quel punto, sono dovute cambiare tante cose, ho dovuto reinventarmi e per non mandare perduti i ricordi e le persone, ho deciso di scrivere questo libro mettendoci dentro tutto, le battute e gli aneddoti che per me erano familiari, erano casa, aggiungendoci ciò che mi rende lo scrittore che sono…l’amore. Massimo dovrà confrontarsi con l’amore del passato e un nuovo amore, solo che lui ha un cuore solo e dovrà scegliere a chi donarlo.
In “L’ultimo caffè della sera” hai creato una lista di caffè dove a ciascun tipo abbini una personalità. Com’è nata questa idea?
Mi piaceva l’idea di creare una specie di oroscopo con al posto dei segni zodiacali i vari tipi di caffè ed associarli al carattere e alla personalità di chi li beve ogni giorno sempre alla stesso modo, lasciando che il loro caffè preferito li rappresenti come persona, come il caffè macchiato per gli indecisi, per coloro che non sanno scegliere tra un caffè e un cappuccino.
Molti romanzi hanno come location un bar dove si sviluppano le storie d’amore. Cosa affascina questo tipo di location?
Credo che il bar si presti bene come fonte d’ispirazione, perché racchiude al suo interno una galassia di persone diverse che girano intorno al bancone come i pianeti intorno al Sole, prendendo dal caffè quel calore, quell’energia che ti accompagnerà, anzi che ti farà compagnia per il resto della tua giornata. In cambio queste persone permettono, con le loro storie di vita vissuta, le loro manie, i loro caratteri simili o sempre diversi, al Sole/bancone di adempiere al suo dovere a ciò che ne rende indispensabile per se stesso e per gli altri la sua stessa esistenza.
Nel bar io ci sono nato nel vero senso della parola visto che a mia madre le si sono rotte le acque dietro a quello stesso bancone dove ancora oggi io preparo i caffè, nello stesso bar ho imparato a camminare, ho detto le mie prime parole, ho fatto i miei primi compiti, mi sono innamorato. Per quanto io possa andare girando come scrittore in mezza Europa grazie ai miei libri e alla mia vita da scrittore, alla fine torno sempre a casa…ops, volevo dire al bar…
Starbucks in Italia, cosa ne pensi?
Confesso che pur essendo un barista vecchio stile, per non dire vintage, molto attaccato alla tradizione, sono molto affascinato da questi tipi di bar, più che altro perché penso che noi baristi italiani tendiamo a lamentarci della volubilità dei clienti di adesso che spaziano dal caffè macchiato con il latte di soia al cappuccino con il latte scremato, chiaro, tiepido e senza schiuma e allora mi immagino quelli che lavoreranno dietro al bancone di questi bar americani che hanno decine di tipi di cappuccini e non l’invidio per niente. Sono certo che di bar che fanno i caffè al mondo ce ne saranno milioni, ma come quello in cui li preparo io ce n’è solo uno.