Argomenti trattati
L’umami è conosciuto come il quinto gusto, accanto ai tradizionali dolce, salato, amaro e aspro. Questo sapore, che si traduce in “delizioso” in giapponese, è stato identificato grazie alla presenza del glutammato monosodico, una sostanza chimica che si trova naturalmente in molti alimenti. L’umami è particolarmente evidente nei cibi ricchi di proteine, come carne, pesce e formaggi stagionati, e contribuisce a creare un’esperienza gastronomica più ricca e soddisfacente.
La scoperta dell’umami risale all’inizio del XX secolo, quando il professor Kikunae Ikeda dell’Università Imperiale di Tokyo isolò il glutammato monosodico nel 1908. Questo composto è un sale di sodio dell’acido glutammico, uno degli amminoacidi essenziali. Solo nel 1985, l’umami è stato ufficialmente riconosciuto come un gusto primario dalla comunità scientifica internazionale, grazie a un simposio tenutosi alle Hawaii. Recentemente, studi hanno identificato il recettore mGluR4, responsabile della percezione di questo sapore.
In cucina, l’umami può essere esaltato utilizzando ingredienti naturalmente ricchi di glutammato. Alcuni esempi includono la salsa di soia, il miso, le acciughe e il parmigiano grattugiato. Questi ingredienti non solo arricchiscono il sapore dei piatti, ma creano anche un equilibrio tra le diverse componenti gustative. Per chi desidera evitare il glutammato monosodico come additivo, esistono alternative naturali come il lievito alimentare e il brodo di alghe Kombu, che possono conferire una complessità di sapore senza l’uso di additivi chimici.
Nonostante i benefici dell’umami, il glutammato monosodico è stato al centro di controversie e preoccupazioni. Negli anni ’70, è emersa la cosiddetta “sindrome del ristorante cinese”, un insieme di sintomi attribuiti all’assunzione di cibi ricchi di glutammato. Tuttavia, studi scientifici hanno dimostrato che non esiste un legame diretto tra il glutammato e questi sintomi. L’European Food Information Council ha definito il glutammato monosodico come un sale innocuo, ma il dibattito continua, con alcuni esperti che avvertono sui potenziali effetti dell’abuso di questo additivo nei cibi confezionati.