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Negli Stati Uniti, l’agricoltura è un settore vitale che dipende in gran parte dalla forza lavoro immigrata. Secondo il dipartimento di stato per l’agricoltura (USDA), circa la metà dei 2,4 milioni di lavoratori nei campi è composta da immigrati irregolari. In California, questa percentuale può arrivare fino al 70%, un dato allarmante considerando che lo stato produce un terzo dei vegetali e tre quarti della frutta secca del paese.
La promessa di deportazioni massicce da parte del presidente eletto Donald Trump solleva interrogativi su chi sostituirà questi lavoratori, essenziali per mantenere la filiera alimentare.
Ana Padilla, direttrice del Community and Labor Center all’Università della California, ha espresso preoccupazione riguardo alla sostenibilità della produzione alimentare senza il contributo degli immigrati irregolari. La California, che esporta prodotti agricoli per oltre venti miliardi di dollari, è l’unico stato a produrre mandorle, carciofi e fichi.
La mancanza di lavoratori disposti a svolgere lavori pericolosi e sottopagati potrebbe portare a una crisi nel settore, con conseguenze dirette sui prezzi dei beni di prima necessità come latte e uova.
Le politiche di deportazione promesse da Trump non solo minacciano la forza lavoro agricola, ma potrebbero anche rallentare la produzione e aumentare i costi per i consumatori. Gli esperti avvertono che un intervento massiccio contro gli immigrati irregolari potrebbe portare a un aumento dei prezzi dei prodotti alimentari, creando un effetto a catena che colpirebbe l’intera economia.
La situazione è ulteriormente complicata dall’interesse di leader politici come Giorgia Meloni, che si avvicinano a Trump e alle sue politiche, suggerendo che anche in Italia si potrebbero verificare riflessioni simili riguardo al lavoro degli immigrati.