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La premier Giorgia Meloni ha sempre dimostrato una forte passione per il caffè, un elemento che va oltre la semplice bevanda. La sua predilezione per il caffè non si limita alla tradizionale tazzina italiana, ma si estende a esperienze culinarie più ampie, come il caffè turco nei bazar di Istanbul e il caffè della Grolla in Val d’Aosta. Questa passione, tuttavia, ha portato a una decisione controversa da parte del governo: l’acquisto di oltre 67mila capsule di caffè Nespresso Professional, un ordine che ha suscitato non poche polemiche.
Il costo di questo ordine si aggira intorno ai 21mila euro, una cifra considerevole che ha sicuramente fatto piacere all’azienda bergamasca WeFor, concessionaria di Nespresso per la regione Lazio. Tuttavia, la questione centrale rimane: come può un governo che si proclama difensore della sovranità alimentare e del made in Italy giustificare l’acquisto di caffè da una multinazionale svizzera? Questo ordine rappresenta un record, superando il precedente acquisto di 27mila capsule effettuato dal governo Conte durante la pandemia.
La domanda che sorge spontanea è se non ci siano alternative più locali e sostenibili.
È innegabile che la produzione di caffè in Italia sia limitata e non sufficiente a soddisfare le esigenze di un governo. Tuttavia, la scelta di rivolgersi a un colosso come Nespresso solleva interrogativi sulla possibilità di trovare soluzioni più vicine e sostenibili. In diverse regioni italiane, come Torino, Piacenza e Trieste, esistono torrefazioni locali che potrebbero fornire un caffè di alta qualità, contribuendo così a promuovere l’economia locale e a rispettare i principi di sovranità alimentare.
La questione non è solo economica, ma anche culturale: il caffè è un simbolo della tradizione italiana e dovrebbe essere valorizzato come tale.